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Applicazione dei metodi di progetto ad un telaio piano
Al fine di valutare l’effettiva efficacia dei diversi metodi esaminati, gli stessi sono stati applicati per il progetto dei pilastri del telaio piano riportato in Figura 5. I rispettivi risultati sono stati quindi confrontati con quelli corrispondenti ad una serie di analisi dinamiche non lineari, condotte assegnando le componenti plastiche unicamente alle estremità delle travi ed alla base dei pilastri primari. Le sollecitazioni ricavate attraverso tale modello rappresentano quindi le resistenze minime da garantire ai pilastri in elevazione affinché la struttura possa effettivamente sviluppare il meccanismo plastico globale ideale riportato in Figura 1. L’esempio scelto è volutamente semplificato in modo da evidenziare come i limiti delle procedure proposte emergano anche nel caso di strutture semplici e con geometria regolare.
Figura 5: telaio bidimensionale di esempio
Le armature delle travi, riportate in Figura 6, sono state dimensionate sulla base delle sollecitazioni derivanti dall’applicazione dei carichi verticali allo SLU e delle sollecitazioni sismiche derivanti da un’analisi lineare con fattore di struttura q=3.9. Tale valore è stato fissato in accordo alle indicazioni fornite dalle norme italiana ed europea per strutture a telaio multipiano, regolari in altezza, in classe di duttilità media. Le resistenze di progetto dei materiali sono state calcolate in conformità alle stesse normative.
Sulla base di tali informazioni sono stati quindi ricavati i momenti di progetto corrispondenti alle sezioni di estremità dei vari pilastri, in accordo ai diversi metodi normativi presentati. I passaggi fondamentali ed i relativi risultati sono riportati, in forma tabellare, all’interno dell’Appendice B e sono stati organizzati per allineamento (A, B, C e D) e livello (1, 2, 3 e 4), riportando le sollecitazioni di progetto sulla faccia inferiore e superiore di ogni nodo secondo la nomenclatura descritta in Figura 7.
Figura 6: disposizione delle armature sulle travi dei vari livelli
Figura 7: convenzione simbolica per l’identificazione delle sollecitazioni sulle facce superiori ed inferiori di un determinato nodo trave-pilastro
Le analisi dinamiche non lineari sono state condotte scalando un set di 7 accelerogrammi spettro compatibili fino al raggiungimento della rotazione limite nella prima cerniera. I momenti di progetto sono quindi stati ricavati mediando, per ogni nodo, i valori massimi e minimi corrispondenti ad ognuna delle analisi eseguite.
Le cerniere plastiche sono state modellate attraverso un legame rigido plastico privo di incrudimento ed infinitamente duttile. La legge isteretica impiegata prevede un certo livello di degrado energetico secondo la legge di Takeda. Come anticipato, lo stato limite di collasso è stato fissato al raggiungimento della rotazione limite nel primo elemento dissipativo. In tal modo è stato possibile ridurre le variabili in gioco, rendendo il confronto indipendente da eventuali incrudimenti di materiale e possibili ridistribuzioni dovute a rotture localizzate. Tutte le analisi numeriche sono state condotte attraverso il software SAP2000, prodotto da CSi America Inc..
Nei seguenti grafici si riportano, per ogni metodo di progetto applicato, le differenze percentuali rispetto al valore di riferimento riscontrate su ogni faccia di ogni nodo del telaio considerato. Data la simmetria di geometria e carichi i risultati sono stati organizzati per colonne esterne (A e D) e colonne interne (B e C).
Figura 8: differenze percentuali dei momenti di progetto per le colonne esterne (A e D) rispetto ai valori ottenuti attraverso analisi dinamica non lineare
Figura 9: differenze percentuali dei momenti di progetto per le colonne interne (B e C) rispetto ai valori ottenuti attraverso analisi dinamica non lineare
Alla luce dei risultati ottenuti si può osservare che:
- nonostante la semplicità dell’esempio in esame, la totalità degli approcci considerati risulta inadeguata a stimare la resistenza flessionale ideale delle colonne esterne. Tutte le metodologie semplificate hanno infatti prodotto delle sottostime del momento sollecitante comprese fra il 25 ed il 50% rispetto a quello corrispondente alle analisi time-history. In tal senso, la deroga sull’applicazione di dettagli specifici per la duttilità locale delle zone di estremità delle colonne progettate secondo il metodo A delle NZS 3101 non appare dunque giustificata.
- Sempre con riferimento alle colonne esterne, si nota come l’utilizzo delle sollecitazioni elastiche comprensive dell’effetto dei carichi verticali, come suggerito dalla norma italiana, per la ripartizione dei momenti sulle due facce del nodo abbia portato a dei risultati completamente irrealistici per i livelli 3 e 4. Come già evidenziato in precedenza, questo risultato è una diretta conseguenza degli alti fattori di struttura considerati che possono produrre, di fatto, una sollecitazione di partenza non proporzionale a quella corrispondente al reale regime di sforzo in condizioni ultime. L’utilizzo di tale strategia risulta quindi sconsigliato sia nel caso del metodo basato sul confronto delle resistenze sia nel caso di quello basato sull’amplificazione delle forze suggerito in circolare.
- Per quanto riguarda le colonne interne, in cui l’effetto flessionale dei carichi verticali è sostanzialmente nullo (vista la simmetria delle campate), tutti i metodi basati sull’amplificazione delle sollecitazioni elastiche producono risultati leggermente migliori rispetto a quelli corrispondenti alla somma delle resistenze. Questo risultato è figlio dell’ipotesi di ridistribuzione uniforme considerata in fase di progettazione delle colonne che, in questo caso particolare, si traduce in una sovrastima delle sollecitazioni su una faccia del nodo ed una corrispondente sottostima su quella opposta.
Ciò premesso è fondamentale ricordare che lo scopo delle formule proposte dalle varie normative non sia tanto quello di evitare completamente la formazione di locali danneggiamenti sulle colonne, quanto quello di ridurre la possibilità di formazione di un meccanismo di piano che possa compromettere la sicurezza complessiva dell’opera. Tale aspetto è sottolineato, in modo esplicito, all’interno della norma ACI 352R dedicata espressamente alla progettazione dei nodi in c.a., dove si evidenzia che la completa protezione del nodo richiederebbe l’utilizzo di coefficienti amplificativi che possono arrivare fino a 2 nel caso piano ed addirittura 3 nel caso tridimensionale. Queste indicazioni sono conformi con i risultati ottenuti nell’esempio in esame, specialmente con riferimento alle colonne esterne. La scelta di adottare un coefficiente inferiore, pari a 1.2 nel caso di norma americana e 1.3 nel caso delle norme europea ed italiana, è semplicemente dettato dall’esigenza di ottenere un compromesso accettabile fra livello di sicurezza ed economicità dell’opera. In questo senso la norma neo zelandese appare più sofisticata, suggerendo l’utilizzo di coefficienti amplificativi dipendenti dalle caratteristiche dinamiche dell’opera e variabili lungo lo sviluppo verticale dell’edificio fino ad un valore massimo di 1.8. Per queste ragioni, quasi tutte le formulazioni semplificate vengono accompagnate da precise indicazioni sui dettagli costruttivi da applicare alle potenziali zone critiche dei pilastri in modo da garantirne una sufficiente duttilità.
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