Gli approcci normativi – Comparazione ed osservazioni critiche

Verranno nel seguito analizzate le indicazioni progettuali relative al dimensionamento della resistenza flessionale dei nodi trave-pilastro, proposte dalle seguenti normative nazionali ed internazionali:

  • Norme Tecniche per le Costruzioni DM 17/01/2018 (NTC 2018) e relativa Circolare applicativa (N. 7 -C.S.LL.PP.);
  • EN 1998-1 (2004): Eurocodice 8 – Progetto di strutture per azioni sismiche (EC8);
  • Building Code Requirement for Structural Concrete (ACI 318-19 e ACI 352R);
  • NZS 3101-1 and 2 (2006) Concrete structures standard (NZS).

Prima di entrare nel merito delle indicazioni normative si ritiene tuttavia opportuno evidenziare i passaggi fondamentali, comuni ai vari approcci, necessari al fine di garantire una adeguata sovra-resistenza ai pilastri e scongiurarne la prematura plasticizzazione:

  • per prima cosa occorre stimare l’entità delle massime azioni flessionali trasmesse dalle travi per una qualunque direzione di applicazione del sisma. Tale passaggio, sebbene possa apparire scontato, nasconde in realtà delle difficoltà intrinseche. Se è infatti vero che la massima azione trasmessa dalla singola trave è nota (a meno di opportuni coefficienti di sovra-resistenza), non è altrettanto semplice stabilire un criterio per combinare fra loro le azioni derivanti dalla presenza di più travi genericamente orientate nello spazio. Con riferimento a tale problematica, come si vedrà nel seguito, le normative esaminate propongono approcci sostanzialmente diversi e talvolta semplificati, limitati a configurazioni spaziali “standard”.
  • Una volta determinato l’insieme delle possibili sollecitazioni flessionali trasmesse dalle travi, è necessario valutare la resistenza “disponibile” offerta dalle colonne incidenti nel nodo. In altre parole, si tratta di stabilire come ripartire la sollecitazione risultante fra la colonna inferiore e quella superiore. Anche sotto questo aspetto le normative considerate sono piuttosto discordi: vi sono infatti approcci che consentono di ripartire “arbitrariamente” le sollecitazioni considerando una resistenza risultante data dalla somma algebrica delle resistenze delle colonne; e, viceversa, approcci che impongono una precisa distribuzione delle sollecitazioni da assegnare alle colonne.
    Il problema fondamentale della prima categoria di metodi è che, da un punto di vista puramente formale, si potrebbero deliberatamente immaginare situazioni paradossali in cui la somma delle resistenze disponibili nelle colonne sia sufficiente a superare la sollecitazione indotta dalle travi ma, al contempo, la relativa distribuzione non sia tale da evitare la formazione di un piano soffice (si veda Figura 4). È tuttavia evidente come tali condizioni rappresentino un’eventualità più teorica che reale e come, in condizioni “standard”, questo fenomeno sia fortemente improbabile e possa, al limite, determinare danneggiamenti localizzati alle estremità di alcuni pilastri. Per contro, il difetto principale della seconda categoria di metodi è che la ripartizione delle forze è normalmente effettuata sulla base delle sollecitazioni derivanti da un’analisi elastica, assumendo che la loro distribuzione non cambi significativamente in regime plastico. Come si vedrà nel seguito tuttavia, questa ipotesi non è sempre rispettata e può portare, anche in casi del tutto ordinari, a risultati poco verosimili.

Figura 4: esempio (volutamente paradossale) di configurazione strutturale in cui, nonostante la somma delle resistenze dei pilastri in tutti i nodi superi quella delle travi, si perviene alla formazione di un meccanismo di piano soffice

Venendo ora al dettaglio delle diverse normative considerate, si riporta di seguito una tabella comparativa che riassume le caratteristiche fondamentali delle relative metodologie di verifica allo scopo di evidenziarne affinità e differenze. Per riferimenti dettagliati sulle varie procedure, si rimanda all’Appendice A in cui vengono riportati e commentati gli estratti normativi corrispondenti ad ognuno dei codici esaminati.
Da un punto di vista formale, è possibile organizzare gli approcci progettuali in due categorie principali:

  • metodi basati sull’amplificazione delle sollecitazioni/forze di analisi, evidenziati in verde nella tabella;
  • metodi basati sul confronto della somma delle resistenze delle membrature incidenti, evidenziati in blu.

Tabella 1: metodologie di progettazione della resistenza flessionale dei nodi trave pilastro in telai duttili in c.a.

Come anticipato in precedenza, tutti i metodi basati sull’amplificazione delle sollecitazioni di analisi si basano sul presupposto che il regime di sforzo ricavato attraverso un’analisi lineare, sia direttamente proporzionale a quello corrispondente alla formazione del meccanismo plastico. Questa ipotesi può, tuttavia, essere ritenuta accettabile solo a patto che la formazione delle cerniere plastiche avvenga in modo pressoché simultaneo su tutte le travi di tutti i livelli nonché alla base dei pilastri primari. In caso contrario, la ridistribuzione delle forze conseguente alla formazione progressiva del danno sugli elementi, condurrà ad un regime sollecitante sostanzialmente diverso da quello elastico. Inoltre, specialmente nel caso di fattori di struttura elevati, le sollecitazioni derivanti da un’analisi elastica possono essere fortemente influenzate dall’entità dei carichi verticali agenti, introducendo nel processo di amplificazione l’effetto di un contributo che in realtà si mantiene costante al crescere dell’azione sismica. Quest’ultima osservazione non vale per i metodi proposti dalla norma neozelandese, la quale, ai fini del calcolo dei coefficienti ϕ, considera esplicitamente solo l’effetto dei carichi laterali.
Relativamente ai metodi basati sul confronto delle resistenze, vi è una netta distinzione fra le indicazioni fornite dalla norma italiana e quelle dell’EC8 e della ACI 318: le NTC 2018 precisano infatti che, nel caso in cui i momenti sollecitanti di analisi agenti sui pilastri al di sopra ed al di sotto del nodo non siano concordi, occorra modificare la formula di verifica sommando al secondo membro anche la resistenza del pilastro in opposizione (quasi sempre quello superiore) affidando tutta la sollecitazione a quello rimanente (ossia quello inferiore):

\(M_{c,Rd,inf} \ge 1.3 \cdot \sum M_{b,Rd} + M_{c,Rd,sup}\)

Considerando che, per ovvie ragioni di ancoraggio, l’armatura verticale efficace in corrispondenza delle facce superiore e inferiore del nodo sarà sostanzialmente costante, a meno di un significativo cambio di dimensione del pilastro l’unico fattore a differenziare la resistenza delle due sezioni sarà lo sforzo assiale agente. Si può pertanto concludere che si avrà:

\(M_{c,Rd,inf} \sim M_{c,Rd,sup}\)

Per tale ragione l’espressione precedente risulta fortemente penalizzante e, spesso, quasi impossibile da soddisfare in termini pratici. Inoltre, al pari di quanto visto per i metodi basati sull’amplificazione delle forze, anche questo approccio fa affidamento sui risultati dell’analisi elastica per la determinazione dei segni dei momenti sui pilastri, risultando quindi affetto dalle stesse limitazioni. Più razionali, da questo punto di vista, appaiono le indicazioni della norma europea e di quella americana in cui le resistenze dei pilastri sono sempre sommate in opposizione a quelle delle travi.
Relativamente all’applicazione del criterio di verifica ai nodi spaziali, con travi incidenti lungo più direzioni, le normative propongono approcci abbastanza diversificati che possono essere sintetizzati nella seguente tabella.

Tabella 2: metodologie combinazione direzionale dei criteri di verifica proposti dalle varie normative

Come si evince, tutte le normative ad eccezione delle NZS si riferiscono unicamente a nodi “standard”, con al più due ordini di travi disposti lungo due direzioni ortogonali. Le norme meno penalizzanti, in tal senso, sono l’EC8 e le ACI318 che consentono lo svolgimento di verifiche indipendenti per le due direzioni principali. Le norme italiane prevedono invece un approccio intermedio consentendo, nel caso di metodo basato sul confronto delle resistenze, di eseguire verifiche separate ma con capacità ridotte e, nel caso di metodo basato sull’amplificazione delle forze, di condurre le verifiche per ogni combinazione sismica applicando il corrispondente fattore amplificativo ai momenti in entrambe le direzioni. Le norme più penalizzanti sono, infine, le neozelandesi le quali prescrivono esplicitamente di considerare la possibilità che tutti gli ordini di travi possano plasticizzarsi contemporaneamente. Quest’ultimo approccio appare decisamente più completo, in quanto non riduce la verifica ad uno schema piano e/o semplificato, ma impone di tener conto della reale geometria del nodo.

L’ultimo aspetto normativo che merita una riflessione, è quello legato all’applicazione di dettagli costruttivi per la duttilità delle zone terminali dei pilastri in corrispondenza dell’attacco con le travi. A tal proposito tutte le normative esaminate, ad eccezione della norma NZS nel caso di applicazione del metodo A, impongono precise ed inderogabili disposizioni sui quantitativi di armatura longitudinale e trasversale da garantire in tali zone, in modo da consentire l’assorbimento di un certo grado di danneggiamento localizzato senza conseguenze generali per la sicurezza dell’opera.

 

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